Gli ultimi dati Istat del 2017 fotografano il nostro Paese come un ampio ecosistema culturale, fatto di 4026 musei, gallerie o collezioni, 293 aree e parchi archeologici e 570 monumenti e complessi monumentali. Luoghi della cultura, pubblici e privati, distribuiti su tutta la penisola: se nell’Italia centrale abbiamo la concentrazione massima di musei e collezioni, con il primato di Toscana, Emilia Romagna e Lazio, è nel sud del Paese che ritroviamo più della metà dei siti archeologici.

Un patrimonio diffuso, quello che costituisce la densità e la ricchezza culturale italiana, che ne ha segnato la storia e la sua ricca differenza, che ha costituito baluardo di senso e valore d’uso per le società locali. Basti pensare che sono 2.371, quindi uno su tre, i Comuni italiani sul cui territorio ritroviamo almeno una struttura museale: 1,6 musei o istituti similari ogni 100 Km quadrato, uno ogni circa 12 mila abitanti.

Sono anche questi aspetti quantitativi che permettono di individuare l’Italia come punto di riferimento mondiale per chiunque si occupi di arte e cultura: perchè raccogliamo e conserviamo opere che possono essere fatte risalire dalla preistoria ai giorni nostri, perchè grazie alla nostra influenza ed eredità culturale condizioniamo l’arte degli altri Paesi.

Nel 2017, tutti questi luoghi culturali hanno accolto circa 119 milioni di visitatori, con una crescita del 7,7% rispetto al 2015 anno dell’ultima rilevazione: la maggior parte dei visitatori scelgono i musei e le collezioni, seguiti dalle aree archeologiche, anche queste in forte crescita. Il dato più interessante riguarda la crescita del numero di visitatori italiani, con un più 10 punti percentuali rispetto agli precedenti.

Quali sono le cause di questo aumento?

Di sicuro, il cambio di prospettiva avvenuto all’interno alle strutture deputate alla gestione dei Beni culturali, che pian piano abbandonano i panni di meri collettori di opere d’arte, per vestirsi di un nuovo ruolo nelle comunità in cui sono inseriti. Le istituzioni culturali aprono sempre più le proprie porte, grazie alla costruzione di azioni volte ad attrarre nuovo pubblico e a fidelizzare quello abituale: attività didattiche, convegni, spettacoli dal vivo, mostre temporanee, digitalizzazione. Maggiori investimenti in promozione e pubblicità per amplificare quest’atteggiamento di apertura: pubblicazione di siti web, invio di newsletter, strategie di digital  e social media marketing.

Questo cambiamento non riguarda soltanto i grandi attrattori culturali, rappresentanti il 9% del territorio italiano, ma anche quelli dell’Italia meno “famosa”. Basti pensare a quei territori dinamici che, seppur lontani dai grandi flussi turistici ma con un patrimonio culturale in grado di assorbirne gran parte, stanno accelerando il proprio percorso di sviluppo legato alla cultura, moltiplicando le azioni di valorizzazione.

È ben evidente, allora, che quello della cultura è un settore cardine per il nostro Paese, il quale, negli ultimi anni, vede la crisi economica, più che come una minaccia, come un’opportunità, contribuendo alla crescita di molti territori.

Ma questi numerosi segni positivi non devono impedire la considerazione di ombre e sfide ancora da affrontare: una su tutte, evitare che i numerosi impegni e promesse della pubblica amministrazione restino lettera morta e si perdano nella scarsissima destinazione di risorse economiche agli obiettivi di valorizzazione culturale.

Altra chiave di lettura è, senza dubbio, il ruolo sempre più indispensabile giocato dai territori, dalle comunità e dai cittadini che le definiscono, all’interno di questi processi di valorizzazione e crescita culturale, legati al proprio patrimonio. Anche l’ultimo Rapporto Federculture 2018 sottolinea l’urgenza di “impegno concreto per incentivare la partecipazione dei cittadini sia sotto l’aspetto della fruizione – rendendo sempre più accessibili i luoghi della cultura anche con agevolazioni modulate su specifiche fasce di pubblico e sostenendo i consumi delle famiglie attraverso politiche di defiscalizzazione mirate – sia sotto quello dell’impegno dei cittadini stessi nel “prendersi cura” del patrimonio, intervenendo nella sua gestione.”

Comunità e cultura sono sistemi profondamente interconnessi e imprescindibili, dove devono essere favorite esperienze formative, di aggregazione, partecipazione e incontro, in un’ottica di luoghi e servizi pubblici sempre più della comunità che li utilizza, senza fare riferimento solo alla cosiddetta “cultura alta” ma anche a una cultura che è quotidianità, con un’idea di condivisione e partecipazione che possa essere una buona pratica da esportare.

Ma quali sono, a questo punto, le prospettive?

La necessità di accelerare il processo di superamento di quella logica che concentra le azioni di valorizzazione e tutela su singoli beni, per dotare, invece, il Paese di infrastrutture gestionali dei patrimoni culturali su cui possano poggiare e in cui possano essere incoraggiate le reti di territori, imprese, comunità, competenze e innovazione.

L’attivazione di politiche pubbliche che sostengano il rispetto e la promozione del diritto a prendere parte alla vita culturale, perché la piena espressione del potenziale valoriale del patrimonio culturale, la sua relazione con una comunità di valori che lo riconosce e con esso si identifica, si lega in modo imprescindibile al grado con cui tale valore sia conosciuto e condiviso dal più largo numero di persone.