
Da qualche anno a questa parte, all’interno delle istituzioni culturali, assistiamo a un fermento, a una spinta propulsiva verso nuovi modi di rappresentare il patrimonio culturale. Un processo che, in altri paesi europei è già ben avanzato ma, anche in Italia, inizia a prendere piede in modo sempre più stabile. L’evoluzione è costante, un numero sempre più ampio di enti e istituzioni culturali è al lavoro per costruire un proprio percorso di trasformazione digitale, individuata come nuova leva per lo sviluppo della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale, anche se resta ancora molta strada da fare.
Quando parliamo di innovazione digitale, non facciamo riferimento solo all’introduzione di nuovi strumenti tecnologici per gestire al meglio asset organizzativi e logistici, ma soprattutto al loro utilizzo per migliorare e potenziare strategie di promozione, valorizzazione e sviluppo del pubblico: programmi e strategie di marketing culturale.
La parola marketing è, da sempre, vista con enorme sospetto dagli operatori culturali, per la storica convinzione che i concetti di vendita e profitto, che quel termine si porta dietro, non potessero essere accostati alla Cultura. Ma, quando è lo stesso sistema della cultura a vivere un profondo mutamento, coinvolgendo attori e meccanismi di produzione, territori ma anche modi e pratiche con cui le persone consumano e fruiscono di prodotti, beni ed esperienze culturali, sono gli stessi operatori culturali a iniziare a immaginare strategie alternative per dare nuovo valore al patrimonio culturale. Allora, il settore culturale non è più rigido nella posizione di combattere la digitalizzazione, ma, al contrario, utilizza l’appeal che gli strumenti digitali hanno sul pubblico, per rilanciare l’importanza dell’arte e della cultura stessa. Il mondo della cultura può e deve, come gli altri settori produttivi, accogliere la digitalizzazione per rimanere al passo coi tempi e non rischiare di restare travolto dalle innovazioni disruptive, ma cavalcarle.
È con questa convinzione che alcune istituzioni culturali aprono i loro canali social, costruiscono la propria digital strategy, immaginano all’interno dei propri luoghi esperienze interattive che amplificano la fruizione dei beni culturali da parte dei visitatori, scoprono nuovi canali di partecipazione e inclusione dei pubblici nelle proprie attività, usano la tecnologia per tutelare il proprio patrimonio: un trend positivo che deve esser colto, incoraggiato per colmare quei vuoti che sono ancora numerosi.
In questa direzione vanno anche gli indirizzi europei per il prossimo settennio: a maggio scorso, infatti, 24 paesi membri hanno firmato la “Declaration of Cooperation on Advancing Digitisation of Cultural Heritage”, un documento che pone l’accento su l’utilizzo delle tecnologie a salvaguardia del patrimonio culturale europeo. Dalla Dichiarazione emerge quanto importante stia diventando l’uso della tecnologia, non solo per azioni volte a tutelare il patrimonio culturale europeo, ma anche per lo sviluppo di altri settori collaterali, come il turismo culturale. Gli Stati sono invitati, pertanto, a lavorare insieme lungo tre direttrici: la digitalizzazione in 3D di artefatti, siti e monumenti; l’utilizzo delle risorse culturali già digitalizzate per migliorare la partecipazione delle comunità alla vita culturale; lo sviluppo delle capacità del settore culturale di generare ricadute anche in altri settori.
Anche in Italia, il Ministero per i beni e le attività culturali per la prima volta acquisisce una specifica delega sulla digitalizzazione e l’innovazione per i beni culturali. “Non si tratta soltanto di aumentare il modo di fruire i beni culturali, ma si tratta di qualcosa che va oltre, di creare una nuova identità al nostro patrimonio culturale”, sottolinea il sottosegretario al MIBAC, Gianluca Vacca. Un’identità che non potrà prescindere dall’impiego delle nuove tecnologie, dal forte impatto sia sui processi legati al customer care e ai nuovi meccanismi di fruizione sia sulla catalogazione e digitalizzazione del patrimonio.
L’obiettivo, così, diventa la promozione di un intreccio di saperi diversi, che assicurino una visione culturale più ampia e una narrazione integrata secondo diverse chiavi di lettura.