Nella prima parte di questa storia tutta borbonica riguardante la porcellana napoletana del Settecento, abbiamo già parlato di come il re Carlo di Borbone nel 1759 smantella la Real Fabbrica di Capodimonte, distruggendo tutto ciò che non poteva essere trasferito a Madrid, per evitare che il suo successore continuasse la produzione della manifattura.

Tuttavia, malgrado il disappunto paterno e il parere negativo del fedele Ministro Tanucci, Ferdinando IV decretò nel 1771 il risorgere della Real Fabbrica di Porcellana. Nei primi mesi fu stabilita nella Villa di Portici sotto la guida di un militare entrato nelle grazie del re, Luca Ricci. L’anno dopo, tuttavia, questi morì e il suo posto fu preso da Tommaso Perez che trasferì la fabbrica nell’ala settentrionale del Palazzo Reale. La composizione della pasta fu affidata a Gaetano Tucci mentre Francesco Celebrano fu nominato capo modellatore. Furono richiamati molti artisti e lavoranti di Capodimonte.
Durante i primi anni la produzione fu curata dal Celebrano, artista versatile ma non sempre ispirato: i manufatti non vanno generalmente oltre la riproduzione, alquanto sbiadita, dei modelli di Capodimonte.

Quando morì Perez nel 1779, la carica di intendente fu assunta da Domenico Venuti, figlio e nipote di archeologi famosi e uomo di grandissima cultura e intelligenza. Egli contribuì con le sue iniziative e i suoi scritti alla costruzione di quel raffinato lessico archeologico inseparabile al gusto neoclassico. Napoli, in quegli anni, viveva un eccezionale momento culturale: le memorie dell’antichità che venivano miracolosamente alla luce a Ercolano e Pompei, unite alla straordinaria bellezza della natura, attiravano artisti e intellettuali da tutta Europa. I ritrovamenti archeologici ispirarono non pochi arredi neoclassici.  Alle attrattive della capitale borbonica, si aggiunse, inoltre, la magnifica collezione farnesiana di marmi antichi, che Ferdinando trasferì a più riprese da Roma negli ultimi due decenni del secolo.

Con la gestione di Venuti, la fabbrica cambia nel gusto e nell’organizzazione rapidamente: Tagliolini è il nuovo modellatore, furono costruite nuove fornaci, da Caprarola giunsero buone terre per la manipolazione dell’impasto. Il miglioramento subitaneo nella produzione è evidente con lo straordinario Servizio Ercolanese inviato in dono all’esigente Carlo III e accompagnato in Spagna dai pittori Giacomo Milani e Antonio CIoffi, probabilmente i principali responsabili della decorazione miniata. Quest’ultima riproduceva le antiche pitture tratte dai volumi dell’Antichità di Ercolano. Andato quasi interamente perduto, dell’insieme, si è potuto rintracciare fino adesso, circa una decina di piatti, squisitamente miniati. Il servizio era, inoltre, completato da un gran dessert in biscuit raffigurante Carlo III, che esorta il figlio Ferdinando a proseguire gli scavi di Ercolano e da 12 mezzi busti, sempre in biscuit, riproducenti altrettante sculture di Ercolano.
Per la corte di Napoli, la Real Fabbrica approntò il grandioso Servizio dell’oca, così detto perché appare spesso il grazioso motivo plastico, tratto da un originale romano nei Musei Capitolini, di un putto che stringe il buffo pennuto. Sulle diverse centinaia di pezzi sparsi in più musei fanno mostra di sé vedute miniate di siti famosi e pittoreschi del regno. A tale produzione di servizi, se ne aggiunse una, altrettanto importante, di vasellame e suppellettili d’ogni genere, impreziositi da motivi archeologici, da vedute di edifici classici e paesaggi miniati con quella limpida oggettività caratterizzante il vedutismo napoletano dell’epoca.

La produzione classica in biscuit ebbe un grandissimo rilievo e raggiunse un’altissima qualità per merito soprattutto del Tagliolini, al quale certamente spetta l’invenzione delle opere più importanti uscite dalla manifattura. Al 1787 risale la prima notizia riguardante una Caduta dei giganti in biscuit alta ben 162 centimetri e tuttora nel Museo di Capodimonte.
La conquista francese del 1806 costrinse Ferdinando a riparare in Sicilia. La manifattura divenne proprietà di una società privata, rappresentata dal francese Jean Poulard Prad, che la trasferì nel convento di Santa Maria della Vita. L’organico fu ridotto a soli 4 artefici. In quegli anni si introdusse l’uso di decorare porcellane bianche importate direttamente dalla Francia, fatto questo che accelerò il decadimento della fabbrica.

Come si differenziano le diverse tradizioni ceramiche nelle regioni italiane lo scopriremo nei prossimi contenuti di ARTelling, perciò iscriviti alla Newsletter per viaggiare con noi.