È alla cittadina di Faenza che spetta l’onore di aver dato il nome al prodotto ceramico destinato al più brillante sviluppo nel mondo occidentale. Lo stesso termine faenza, faience, fayence, favence ecc. con alcuni varianti ortografiche si ritrova in tutte le lingue europee. Il suo sinonimo, oggi più usato, maiolica, nel Cinquecento non era riferito in origine che alle sole maioliche ricoperte di un lustro metallico, importate in Italia in grandi quantità da Valencia in Spagna, insieme a tessuti e ad altre mercanzie tramite i mercantili dell’isola di Maiorca. Questa etimologia, maiorca-maiolica, appare più semplice e più diretta di quella, anch’essa talvolta ipotizzata, che fa derivare maiolica da Malaga attraverso un’inversione di sillabe. A ogni modo, va sottolineato il ruolo di tramite ricoperto dalla Spagna moresca nella diffusione di un’antichissima tecnica, giunta dal mondo islamico del Vicino Oriente. La maiolica, quale veniva prodotta a Faenza, è una terraglia tenera ricoperta da uno strato di smalto reso opaco con l’aggiunta di ossido di stagno (smalto stannifero), particolarmente adatto a ricevere un ornato dipinto con pigmenti ricavati da ossidi di metallo, e fissato dalla cottura. Gli italiani del Rinascimento hanno perfezionato al massimo questo procedimento, tanto da possedere, dalla fine del Quattrocento, un’assoluta abilità tecnica. Ragguagli preziosi a questo proposito sono forniti dal trattato tecnico Li tre libri del arte del vasaio, redatto e illustrato con numerosi disegni dal cavalier Cipriano Piccolpasso di Casteldurante, verso la metà del Cinquecento. Sono descritte in modo particolareggiato tutte le operazioni: la scelta e la preparazione dell’argilla, la lavorazione al tornio, la smaltatura, che spesso avveniva per immersione dell’oggetto (sottoposto prima a una leggera cottura preliminare affinché non si deformasse) nel bagno di smalto o “bianco” semiliquido. È a questo punto, dopo esser stata seccata, che la maiolica riceve la decorazione dipinta, operazione molto delicata che esige una grande abilità a causa della fragilità della superficie polverosa dello smalto crudo, tendente ad assorbire il colore.  Alla fine della stesura, i colori sono ravvivati e fusi contemporaneamente con l’applicazione di una vernice trasparente superficiale, la “coperta”, il cui uso si generalizzò alla fine del Quattrocento. Per la cottura finale, le maioliche nel forno sono collocate in cassette o involucri di terra refrattaria, che le proteggono dal contatto diretto delle fiamme, ed è necessario ottenere la chiusura ermetica del forno, alimentato da legna secca. L’attività di Faenza si sviluppa molto presto, dove la protezione dei Manfredi (1334-1501) imprimeva alla maiolica l’impulso determinante e conduceva all’elaborazione di un’arte originale, tipicamente italiana che si emanciperà poco a poco dall’influenza orientale. Assistiamo, infatti, al rapido progresso nel corso della seconda metà del Quattrocento attraverso lo stile “gotico-floreale”, che unisce alle riminiscenze dell’estetica orientale quelle dell’arte greco-romana, apportandovi, inoltre, elementi naturalistici e suggerimenti tratti dalla scultura e dall’architettura gotica. Su parecchie maioliche della fine del Quattrocento si ritrovano gli stessi tipici motivi: particolari di antiche modanature, fiori stilizzati detti “palmette persiane” che si trasformeranno in una sorta di “pigne”, lunghe foglie sottili dalle estremità accartocciate, “occhio di penna di pavone”. Faenza, dalla fine del Quattrocento, comincia a usare sottili viticci e arabeschi tracciati in blu monocromo sullo smalto bianco della maiolica. Questo ornato, destinato ad avere lunga fortuna, è chiamato “alla porcellana”, perchè si ispira alle porcellane cinesi blu e bianche, che cominciano a essere importate in Europa e considerate oggetti preziosi. È ancora durante questo periodo, prima che finisse il Quattrocento, che i pittori ceramisti di Faenza, nell’interpretazione della figura umana, passarono da uno studio ornamentale a quello della rappresentazione realistica, allo stile istoriato, aneddotico, che mostra già i personaggi in azione in un ambiente. Nacque così lo stile “istoriato”, che giungerà all’apogeo all’inizio del Cinquecento, quando lo “stile severo” del Quattrocento lascia il posto allo “stile bello”, riflesso dell’umanesimo rinascimentale. Pochi anni dopo la caduta dei Manfredi, Faenza, riconquistata da Giulio II nel 1509, conobbe il nuovo e duraturo periodo di prosperità. Parecchie fabbriche cittadine erano in piena attività, producendo anche pitture dipinte su grandi placche di maiolica, come veri e propri quadri. I maestri di Faenza hanno spesso dipinto su uno smalto lievemente azzurrato dovuto all’introduzione di cobalto nell’impasto detto “a berrettino”. A causa della dominante gialla, la gamma cromatica assume su questo fondo azzurro una tonalità molto particolar, che ha fatto sì che gli storici inglesi qualificassero lo specialista di questo genere come “Maestro verde”. L’influenza di Faenza è predominante nella maggior parte dei centri di produzione ceramica di tutta Italia. precedente articolo del nostro progetto editoriale, anche i riferimenti normativi a livello nazionale ed europeo vanno verso comportamenti istituzionalizzati, che utilizzino le tecnologie a salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale. Come si differenziano le diverse tradizioni ceramiche nelle regioni italiane lo scopriremo nei prossimi contenuti di ARTelling, perciò iscriviti alla Newsletter per viaggiare con noi.