Non era necessario aspettare l’inizio del nuovo decennio per osservare le trasformazioni in atto all’interno delle istituzioni culturali considerate più restie al cambiamento. I musei, da tempo, si avvicinano alle tecnologie digitali ma è in questo nuovo decennio che dovranno aprirsi e consolidarsi nuovi spazi di sperimentazione e applicazione. 

Chiaramente non tutti intraprendono le stesse strade o adottano identiche soluzioni tecnologiche: ma è la strategia che sembra andare nella medesima direzione. Tutte le istituzioni culturali hanno sì bisogno di aumentare i propri incassi, ma soprattutto necessitano di definire un nuovo ruolo, smettendo di essere isole per diventare punti di snodo di una rete di relazioni più complessa, soprattutto grazie anche all’utilizzo delle nuove tecnologie. 

Qual è il futuro dei musei? Domanda essenziale in moltissimi incontri e convegni sul tema, a cui sono susseguite molteplici risposte e visioni. “Viviamo con gli schermi in mano, abituati a ogni tipo di proiezione trasversale dell’immagine”, ha detto Glenn Lowry, il direttore del MoMA durante l’evento di inaugurazione del nuovo museo, ingrandito e riorganizzato, e con questa affermazione intendeva che neanche le istituzioni più rigide come i musei possono tralasciare la voracità digitale dei propri pubblici. Per questo nascono esperienze inedite, nuovi strumenti di approccio e di interazione con il patrimonio culturale all’interno e all’esterno dei musei, che trascendono luoghi fisici ma anche i tempi della visita.

Un maggior coinvolgimento del pubblico è certamente la chiave di volta di queste nuove sfide a colpi di software, dove il museo dovrebbe definirsi narrante. La reticenza di queste istituzioni a introdurre al proprio interno azioni di innovazione tecnologica ha spesso a che fare con la paura di trasformarsi in “luna park culturali”, perdendo di vista il valore culturale che hanno, invece, l’obbligo di preservare come custodi della memoria e dell’eredità culturale del territorio in cui risiedono. Ecco allora la terza via da percorrere come alternativa moderna al museo quadro-chiodo-parete ma anche al museo luna park appena descritto: il museo narrante, dove il visitatore dialoga con le opere grazie a elementi virtuali e ricevere informazioni dinamiche e interattive. La tecnologia come strumento, non un fine ultimo.

In quest’ottica, videogame, app, piattaforme di approfondimento, 3D e virtual reality diventano quello strumento, che il pubblico ama e continuerà a ricercare nel nuovo decennio. Che si pensi di trovarsi nel mezzo di una epocale rivoluzione culturale o che si mantenga una visione più distaccata interpretando la disponibilità di tali dispositivi solo come un’utile opportunità di miglioramento della strumentazione tradizionale, restano evidenti le potenzialità e i margini di crescita che risiedono nell’incontro/confronto tra cultural heritage e digital transformation. Da una parte, il patrimonio culturale rappresenta un bacino pressoché inesauribile di contenuti, idee, informazioni, spunti e riflessioni in cerca di un pubblico disponibile a riceverle e utilizzarle; dall’altra, un insieme di tecnologie in perenne e rapida evoluzione è alla costante ricerca di “contenuti” da elaborare e da veicolare a platee sterminate di utenti. Lo dimostrano i numeri del primo videogioco al mondo realizzato da un museo archeologico, il MANN di Napoli, scaricato oltre 4 milioni di volte: numeri non di secondaria importanza se si pensa che, malgrado i significativi investimenti realizzati in anni recenti per valorizzare i beni culturali, il patrimonio culturale incontra significative difficoltà a intercettare pubblici diversi da quelli già acquisiti. 

È sul racconto del patrimonio culturale che la tecnologia ha trovato forme di sperimentazioni più ampie, soprattutto laddove esigenze di conservazione e tutela consigliavano l’adozione di forme di fruizione meno invasive. Il pubblico ama toccare le cose, interagire con tutto ciò che è sensoriale.
Anzi, paradossalmente, sempre più spesso si cerca di vivere un’esperienza personale che controbilanci l’attuale isolamento delle nostre esistenze digitali.

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